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In My Shoes With Max Slack

Nella cornice del nostro impegno costante a favore di un mondo e un luogo di lavoro più inclusivi, abbiamo sviluppato e messo in atto programmi interni che offrono a colleghi e colleghe l'opportunità di esprimersi, ascoltare, imparare e crescere. Abbiamo invitato Max Slack, uomo transessuale, attivista LGBTQ+ e content creator, al nostro panel transatlantico dedicato ai collaboratori di Clarks; in quest'occasione, Max ha parlato della responsabilità delle aziende nel far sì che i dipendenti della comunità LGBTQ+ si sentano accettati, al sicuro e supportati.

Max ha inoltre intervistato quattro membri della comunità LGBTQ+ che lavorano per Clarks, incoraggiandoli a condividere le proprie storie con gli oltre 280 colleghi e colleghe presenti. Dopo l'evento, abbiamo parlato con Max delle sue esperienze personali e professionali come uomo transessuale. Ha offerto consigli utili per gli altri membri della comunità LGBTQ+ in cerca della propria strada, discutendo anche di come le aziende possono implementare cambiamenti che vadano davvero a sostegno della diversità.

Clarks Instagram (opens in a new tab)

Raccontaci di te.

Sono Max, ho 30 anni e sono un uomo transessuale. Sono un content creator (@theyrequeer), speaker e attivista LGBTQ+. Collaboro anche con bothandapparel, una start-up che produce abbigliamento per uomini transessuali. Quando non sono impegnato a far sentire la mia voce di ragazzo trans su Internet, resto a casa o vado in spiaggia ad Hastings, in genere insieme alla mia fidanzata Lori e almeno uno dei nostri tre levrieri.

Ti definisci un "career queer". Come descriveresti il tuo lavoro di creator e speaker LGBTQ+?

Prima di imbarcarmi nella libera professione, ho iniziato collaborando con alcuni brand per l'app The HER. Combinando la mia esperienza personale di individuo queer e trans con il mio background nelle partnership e negli eventi, per me è stato naturale diventare un consulente LGBTQ+.

In questo momento specifico della storia della nostra comunità, sempre più marchi e aziende desiderano coinvolgere, sostenere e celebrare i propri dipendenti e clienti LGBTQ+, il che è molto positivo. Il mio obiettivo è assicurarmi che ciò avvenga in maniera corretta, apportando un cambiamento autentico, responsabile e attivo. Inoltre cerco sempre di trasmettere il messaggio che si può essere transessuali e condurre un'esistenza felice e appagante, un aspetto che difficilmente viene raccontato nella cultura popolare e dai media.

Nella tua carriera o nel privato, ti sei mai trovato di fronte a preconcetti o pregiudizi in quanto persona queer? Vorresti condividerli?

Sono fortunato: nella mia carriera ho avuto a che fare solo marginalmente con l'omofobia e i pregiudizi. Dipende senz'altro dal fatto che collaboro con aziende LGBTQ+, e comunque ogni tanto ho vissuto delle situazioni di disagio. Un aspetto importante nella collaborazione con clienti internazionali è l'attenzione che devo porre nel selezionare le persone con cui "aprirmi", perché la mia identità può influenzare le vendite o la mia carriera. Poi ho sperimentato in prima persona la solitudine di molte persone LGBTQ+ sul posto di lavoro: non vieni esplicitamente escluso, ma non ti senti al sicuro, supportato o celebrato.

“Sempre più brand desiderano sostenere e celebrare i propri collaboratori e clienti LGBTQ+... il mio obiettivo è assicurarmi che ciò avvenga in maniera corretta, apportando un cambiamento autentico, responsabile e attivo.”

Che consiglio ti senti di dare agli altri membri della comunità LGBTQ+?

Avere fiducia nel fatto che le cose miglioreranno e non sentirsi in obbligo di fare determinate cose solo perché si fa parte della comunità LGBTQ+: non serve sventolare bandiere arcobaleno per essere attivisti. Ciascuno è responsabile solo di sé. Chi non ti ama e non ti sostiene per ciò che sei pur conoscendo perfettamente la tua identità, non ti merita. Le persone, però, sanno anche essere sorprendenti!

In occasione nel nostro panel dedicato ai collaboratori di Clarks, hai citato alcuni dati interessanti sulla comunità LGBTQ+: puoi ricordarne alcuni?

Certo! Uno studio condotto da Yale nel 2019 ha rilevato che l'83% dei membri della comunità LGBTQ+ nasconde il proprio orientamento sessuale, mentre un sondaggio di YouGov del 2018 ha rivelato che una persona transessuale su quattro (il 26%) non ha raccontato a nessun collega di lavoro della propria transessualità. Questa cifra aumenta nel caso delle persone non binarie: due su cinque (il 37%) tengono nascosta la propria identità sul lavoro.

Secondo McKinsey, azienda globale che si occupa di consulenze, per le donne LGBTQ+ è due volte più difficile parlare delle proprie vite extra-lavorative in ufficio; quelle che riescono a farlo hanno il doppio della probabilità di essere ancora nella stessa azienda l'anno successivo. Infine, in 60 paesi l'omosessualità è ancora perseguibile per legge.

C'è un consiglio che vorresti dare alle aziende o un cambiamento che tutte dovrebbero apportare? Perché si tratta di punti importanti?

Ascoltare le persone queer senza farsi idee preconcette e ascoltare il proprio team, i clienti e i consulenti. Le aziende che desiderano maggiore inclusività devono innanzitutto capire come agire nella propria realtà, perché ciascuna azienda è diversa. Un buon metodo potrebbe essere quello di allestire un comitato LGBTQ+ interno e garantire ai membri del tempo che non dedicheranno alle proprie attività quotidiane, bensì al comitato, oppure remunerarli per gli straordinari che dovessero rendersi necessari. È fondamentale garantire risorse economiche e il supporto delle figure apicali.

Cosa significa "stile" per te come uomo transessuale?

Per me stile significa libertà. Spesso la moda mainstream non si rivolge alle persone transessuali, quindi dobbiamo adattare i modelli in modo tale che vadano bene per noi. Da un lato è un'occasione per essere creativi e infrangere le regole, dall'altro è spesso scomodo dover mettere mano ai capi. Un abito, un outfit o uno stile che ci fanno sentire bene dentro e fuori sono sinonimo di libertà di espressione senza compromessi.

"Le aziende che desiderano maggiore inclusività devono innanzitutto capire come agire nella propria realtà, perché ciascuna azienda è diversa."